Alla ricerca della felicità, sì, ma come? Non ci sono regole universali, ci sono solo relazioni basate sulla fiducia sul rispetto
Come essere felice. La ricerca della felicità. A scuola di felicità. Vivere felice.
La vita è un continuo viaggio verso la felicità.
Del resto Felicità è la parola più usata (e abusata) di sempre nel settore della crescita personale. Quasi tutti i libri degli ultimi 20 anni che trattano di coaching, autostima, relazioni o emozioni hanno nel titolo questa parola.
9 lettere che promettono tutto, ma non dicono niente.
Che cos’è la felicità? Dal punto di vista del significato, è un’emozione, un’evoluzione più articolata della gioia.
Facciamo un piccolo passo indietro: le emozioni di base, o primarie, sono la gioia, la tristezza, la paura, la rabbia e il disgusto. Secondo alcuni psicoterapeuti anche la sorpresa e la fiducia.
Nella ruota (o fiore) delle emozioni di Plutchick – grafico molto carino e colorato e soprattutto molto utile, che mostra la varietà del nostro ventaglio emotivo – la felicità è vicina alla serenità, e viene prima dell’estasi.

Si tratta dunque di uno stato d’animo positivo, in cui l’individuo vede il lato luminoso delle cose, sorride e apprezza ciò che ha. Infatti la felicità è spesso associata alla gratitudine, un’altra emozione positiva: quando ci sentiamo grati per qualcosa, siamo felici.
Postilla a margina, tutt’altro che poco importante: non esistono emozioni di per sé positive o emozioni negative, siamo noi che le etichettiamo così, per convenzione sociale. La rabbia e la paura sono meno socialmente accettabili della gioia, quindi sin da bambini impariamo (in famiglia e a scuola) che non va bene esprimere la rabbia.
I bravi bambini non s’arrabbiano. I bravi bambini non sono tristi, perché non c’è mai motivo per essere tristi: “c’è sempre chi sta peggio di te”. Ti suonano familiari queste frasi? Non sei l’unicə.
Ma torniamo alla descrizione della felicità. Emozione che per noi ha l’etichetta positiva.
Sembra facile a dirsi, no? Eppure, in modo molto pratico, la felicità è 100% soggettiva e può dipendere da diversi fattori. Non ci sono regole per essere felici, al massimo ci sono una serie di comportamenti che è possibile adottare per sentirsi felici. Ogni giorno? Impossibile.
Nessuno è felice sempre e per sempre. Testi, video, guru che promettono questa possibilità grazie a fantastici consigli stanno mentendo, facendo leva su uno dei più grandi bisogni dell’essere umano. “Vuoi sentirti felice? Allora fai questo, fai quello, segui queste tips”.
È indubbio: la maggior parte di noi ha un desiderio di felicità (anche se clinicamente esiste la cherofobia, la paura di essere felici), ma passiamo la vita a cercarla in continui obiettivi e traguardi da raggiungere. E non capiamo che quello è il modo migliore per non sentirci mai felici.
Lo sappiamo, dopotutto, che la felicità sta nelle piccole cose. Ce lo diceva la nonna, la scuola, ce lo ricordano lo psicologo, la musica, l’arte, i libri. Ciò nonostante non riusciamo proprio a godercelo quello stato di ebrezza emotiva. Quando c’è, lo ignoriamo.
Cherofobia, la canzone con cui Martina Attili, a soli 16 anni, approda a X Factor nel 2016 e conquista tutti
“Voglio essere felice!”, ci raccontiamo spesso. “Desidero vivere sereno, avere un equilibrio vita-lavoro e relazioni felici”. Sì ma come si fa? Me lo chiedono spesso nei miei percorsi di coaching.
In questo articolo non troverete segreti e formule magiche per rendervi felici. Non state per leggere 5 trucchi per essere perfettamente felici, sempre e per sempre. Come ho scritto sopra: non esistono regole vere e proprie, perché lo stato di felicità è soggettivo.
Ciò che posso sottoscrivere però è l’importanza delle relazioni. Non solo relazioni d’amore, d’intimità con il proprio partner: parlo di ogni tipo di relazione. Mamma e figli, padre e figli, fratelli e sorelle, nipoti e nonni, cugini e parenti stretti, amici e persino animali domestici.
Ogni relazione può essere cruciale per la felicità individuale, perché gioca un ruolo importante all’interno della nostra “ruota della vita”. Nel life coaching si parla molto spesso di “ruota della vita” nella fase iniziale e finale di un percorso.
Si tratta di un esercizio di coaching che prevede il disegno di una ruota divisa a spicchi (o torta, se preferisci). Ogni spicchio corrisponde a un’area della propria vita: lavoro, amore, amicizia, famiglia… Le aree possono essere personalizzate dal life coach, a seconda della persona e di ciò che ritiene opportuno proporre in quella circostanza.
Se hai mai fatto questo esercizio sai molto bene quanto in ciascuna area emerga l’importanza delle relazioni: in famiglia con i propri conviventi, al lavoro con i colleghi, e così via. Avere relazioni sane, positive, costruttive è cosa buona e giusta se stai davvero cercando la felicità.
Le caratteristiche di una relazione sana

Quando possiamo definire bella, buona o positiva una relazione? Due persone che si prendono cura l’una dell’altra per esempio, ma non basta. Ecco che cosa serve davvero affinché la tua quotidianità ti porti lo stato di felicità.
- Ascolto
Se non ascoltiamo i bisogni e gli stati d’animo dell’altro, difficilmente avremo relazioni felici. Che si tratti del partner, un amico o un collega del lavoro, è fondamentale ascoltare l’altro. Così possiamo passare al prossimo punto. - Comunicazione
Nei miei studi di comunicazione, una delle prime cose che mi hanno insegnato è che se non c’è uno scambio tra due parti non si può parlare di comunicazione.
Per comunicare deve esistere una relazione: quando all’interno di una coppia o gruppo di persone non si parla apertamente dei propri pensieri, sentimenti, bisogni e paure, quella relazione è destinata a crollare e farci male. - Empatia
Nella ruota delle emozioni l’empatia è un’emozione complessa, ma estremamente importante. Si tratta anche di una competenza sociale, oggi più che mai richiesta dalle aziende. Si tratta della capacità di mettersi nei panni dell’altro.
Deriva dal greco ἐν, “in”, e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, “soffro”, sul calco del tedesco Einfühlung. Significa proprio provare le emozioni altrui.
Quando siamo empatici riusciamo a cogliere tutti i segnali dell’altro, quelli della sua comunicazione verbale, non verbale e paraverbale. Ci sentiamo come si sente lui, e così sappiamo più facilmente che cosa dire o fare in quel momento. - Pazienza
Ah, la santa pazienza. Personalmente ho sempre pensato di non esserne dotata, e invece questa è una delle tipiche credenze limitanti. Convinzioni che si insidiano in profondità e facciamo fatica a sradicare.
Ma la pazienza è un’emozione che impariamo a coltivare da piccoli quando aspettiamo i genitori che ci vengono a prendere a scuola, per esempio.
Dimostrare pazienza in una relazione vuol dire saper aspettare che l’altro arrivi al tuo spesso punto con i suoi tempi, o viceversa. Il sostegno reciproco è fondamentale perché ci fa sentire amati e mai soli. - Fiducia
Prima dicevo che secondo alcune teorie è considerata fra le emozioni primarie. Primarie perché sono le prime che un individuo sente, già da bambino. Ci fidiamo di mamma e papà, dei nonni, dei fratelli e delle sorelle, poi delle maestre e delle figure di riferimento che entrano gradualmente nella nostra vita.
Molto spesso però la nostra fiducia da adulti viene tradita, e ciò ci fa sentire feriti. Quando si perde la fiducia nell’altro si fa fatica a recuperarla, ma è proprio quell’ingrediente base senza il quale la ricetta non riesce.
Un rapporto senza fiducia è come una maionese senza olio. Si può dire? Senza fiducia, insomma, la tua relazione è dominata dalle insicurezze, le quali possono portare ad azioni impulsive che rovinano il rapporto.
Coltiva la fiducia nell’altro. Come? Parti dalla stima. - Stima
Se non stimi una persona non potrai avere con lei una relazione costruttiva. Anzi, la disistima traccia le basi per una relazione distruttiva.
Chiediti sempre: che cosa apprezzo di questa persona? Perché mi piace o mi fa stare bene? Tieni presente queste risposte soprattutto nei momenti difficili e di scontro. La stima sarà proprio la strada che ti porterà all’eventuale riappacificazione. - Interesse
Va da sé, devo sentirmi interessato all’altra persona, altrimenti il rapporto rischia di prendere una piega unilaterale. E così diventa una zavorra pesante che non fa altro che ferire, appesantire, svuotare.
Non dimenticare mai di (di)mostrare il tuo interesse per le persone che fanno parte della tua vita. Fai domande, annota mentalmente le risposte più importanti e, qualora necessario, torna sull’argomento.
Quando percepiamo che una persona s’interessa alla nostra salute, al lavoro o alla nostra vita in generale, si alimentano naturalmente la stima, la fiducia, la pazienza, l’ascolto. - Curiosità
Una delle mie emozioni preferite. Lo dico sempre ai miei studenti e clienti nei percorsi di formazione, in aula o anche nei percorsi con obiettivi di crescita personale: “siate sempre curiosi”, o “sii curioso”.
Essere curiosi significa rimanere aperti, permettersi di scoprire aspetti di sé stessi e degli altri che prima non si erano considerati. La curiosità alimenta l’interesse, e così di nuovo s’innesca una positiva catena di eventi che mantiene il rapporto forte e sano. - Flessibilità
Altro elemento cruciale: con le regole rigide non si va mai davvero lontano. Invece è con la flessibilità che si vedono gli errori, i problemi, le difficoltà. Essere flessibili vuol dire venirsi incontro, trovare soluzioni a metà strada che rendono felice te e l’altra persona.
Attenzione, non significa accontentarsi. Tutt’altro: quando si è flessibili, e quindi tolleranti di imprevisti o malintesi, la relazione ne beneficia. Perché s’impara a non abbattersi al primo ostacolo e a trovare strade alternative, ma non per questo meno valide, per la felicità condivisa.
Una famosa canzone di Leonard Cohen dice saggiamente: C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce. - Rispetto
Ultimo ma non ultimo. Il rispetto, immancabile protagonista di una relazione sana e felice. Nel coaching e nella psicologia si parla della nozione chiamata “la mappa non è il territorio”. Che cosa significa?
Vuol dire che ciascuno di noi vive con una propria mappa emotiva, degli occhiali con delle lenti particolari, un filtro attraverso il quale vede il mondo. La mappa emotiva è determinata dall’educazione, dall’ambiente e dal contesto sociale in cui si cresce e si vive. Ciascuno di noi ne ha una. Ma qual è quella vera, quella giusta?
Tutte. E nessuna.
Ogni mappa è vera per il suo proprietario, ma gli individui coesistono in un territorio neutro, condiviso. Tenere conto che l’altro ha una mappa emotiva che gli fa vedere le cose in un modo diverso dal nostro ci insegna il valore del rispetto.
Il rispetto reciproco che nasce da punti di vista diversi, eppure entrambi validi. Se tutti tenessimo questo aspetto in considerazione, si eviterebbero parecchie liti.
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