Voce del verbo essere. Ma non è così semplice. Lo psicoterapeuta Nathaniel Branden delinea 6 punti fondamentali per l’auto-stima (stima di sè)
Essere se stessi senza temere il giudizio e il rifiuto degli altri, imperfettamente felici. Un’utopia? No, secondo lo psicoterapeuta e autore statunitense Nathaniel Branden, che negli Anni 60 sviluppa la famosa teoria dei 6 pilastri dell’autostima.
Secondo Branden, la corretta percezione di se stessi può avvenire solo nel momento in cui l’individuo ha attraversato, compreso ed attuato questi 6 specifici elementi della sua personalità.
- Consapevolezza di sè
- Accettazione di sè
- Senso di responsabilità
- Auto-affermazione
- Capacità di darsi degli obiettivi
- Integrità personale
Le persone che hanno scarsa autostima – una quindi scorretta percezione di sè – mettondo continuamente in discussione il proprio valore personale. Si paragonano sempre agli altri e ne ricercano sempre l’approvazione. Secondo Branden, tutti attraversiamo momenti di bassa autostima, e questo è totalmente normale e naturale. Tuttavia, quando questa diventa una condizione esistenziale, come fosse una malattia cronica (che non passa mai), allora si può dire che soffriamo di carenza di autostima. Non riusciamo, cioè, a percepire noi stessi in modo corretto ed equilibrato. Meglio dire che abbiamo dunque una percezione distorta del nostro essere.
Ma se non l’avevi ancora sentito dire, ci sono buone notizie: l’autostima può essere allenata. Proprio come un muscolo del corpo, possiamo “fare un corso di autostima” che ci permette di migliorare la nostra auto-percezione.
Uno studio condotto dall’Istituto Internazionale di Ricerca in Telecomunicazioni di Kyoto, in collaborazione con il dipartimento di psicologia della UCLA, ha individuato una particolare zona del cervello deputata a regolare il livello di autostima di una persona. Attraverso il così chiamato Decoded Neurofeedback (la risposta monitorata dei neuroni), i ricercatori hanno svolto un esperimento su 17 persone per valutare la possibilità di allenare quest’area del cervello. Durante l’esperimento, molti candidati hanno sostenuto di sentirsi, sempre più sicuri, come se il solo fatto di accennare l’allenamento cerebrale e di ottenere risultati influisse positivamente sulla loro autostima.
La consapevolezza del senso di inadeguatezza che proviamo nella vita può essere definito il “momento zero”, ovvero l’istante in cui comprendiamo che è necessario sviluppare una sana stima di sè. Passo dopo passo, possiamo costruire la nostra sicurezza, commisurata alle nostre capacità, alle qualità intrinseche e ai nostri difetti. L’obiettivo non è rassegnarsi a sopravvivere, ma accettarci per come siamo per migliorare la nostra vita. In fondo, vogliamo tutti essere felici.
I 6 pilastri dell’autostima di Nathaniel Branden
Si può affermare che l’autostima abbia due componenti strettamente legate tra loro: il senso di efficacia, ossia la fiducia nell’affrontare le sfide della vita, e il rispetto per se stessi, ovvero la convinzione di meritare la felicità.
Branden, psicoterapeuta e scrittore americano, nei suoi numerosissimi studi sull’argomento ha sempre sostenuto che l’autostima è un vero e proprio bisogno dell’essere umano. E se non viene soddisfatto, può portare a sviluppare delle patologie della personalità, come ansia, depressione, difficoltà relazionali e chiusura totale verso il mondo esterno.
Vediamo questi 6 pilastri – così chiamati perché paragonati alle fondamenta di un palazzo, senza le quali l’edificio è destinato a crollare – uno per uno.
Vivere consapevolmente

Essere consapevoli di qualcosa vuol dire essere consci, o essere a conoscenza di. Vivere con consapevolezza, dunque, significa riconoscere la natura dei propri pensieri e delle proprie azioni e comprendere che il modo in cui ci comportiamo ha inevitabilmente delle conseguenze.
Se siamo effettivamente consapevoli dei nostri valori, bisogni, desideri, limiti, confini e paure, le influenze esterne non ci toccano, o per lo meno non nella misura in cui permettiamo loro di governarci.
Uno dei blocchi principali che ci troviamo ad affrontare sono gli insegnamenti che ci sono stati tramandati dalla famiglia di origine. Il luogo da cui proveniamo è sacro per la nostra cultura occidentale, ma non dobbiamo dimenticare, come dice Branden, che siamo tutti esseri umani e pertanto possiamo sbagliare. Se la mappa non è il territorio, anche ciò che la nostra famiglia ci ha insegnato può effettivamente non corrispondere al mondo esterno. E questa idiosincrasia ci mette spesso in difficoltà perché crediamo di conoscere già i criteri di valutazione del mondo, ma diventando adulti, incrociando le vite di altre decine di persone, scopriamo che la consapevolezza che credevamo di avere è fragile come la porcellana.
Vivere consapevolmente significa quindi prendere coscienza di ciò che siamo qui e ora, nel momento presente, nel bene e nel male, senza influenze esterne.
Accettazione di sè

Accettarsi non vuol dire assolutamente fermarsi e non migliorarsi mai. Anzi, il secondo pilastro di Branden afferma proprio il contrario. Accettare il proprio corpo ed aspetto fisico, i propri pensieri, emozioni, sensazioni e stati d’animo, il proprio luogo di nascita, la cultura di appartenenza e l’educazione ricevuta, serve condizione base per potersi migliorare. Dopotutto non posso superare una paura che non ammetto, non posso diventare più brav* in qualcosa se non riconosco di avere dei limiti.
La saggezza dietro a questo pilastro è molto sottile. Nel libro omonimo dello scrittore, I 6 pilastri dell’autostima, Edizioni TEA, sono contenuti in ogni capitolo molti esercizi dedicati al tema. Personalmente, quelli relativi all’accettazione di sè, sono stati i più complessi da comprendere e fare. Anche nell’esperienza di lavoro come life coach, molti dei miei coachee hanno presentato resistenza rispetto a questo pilastro: affermare che ci auto-accettiamo sembra voler dire che siamo troppo sicuri di noi stessi, e nella religione cristiana ciò è classificato come un peccato. Allo stesso modo, nella cultura occidentale, accettarsi equivale a non essere ambiziosi e dunque, per esempio sul lavoro, non lottare per una posizione più alta, un incarico migliore.
Nelle parole di Nathaniel Branden, però, riusciamo a trovare una spiegazione lucida e scientifica a tutto questo. Nella mia personale esperienza come life coach, prendere coscienza dei propri limiti per poi accettarli, è stato ed è tuttora effettivamente vincente.
I pilastri dell’autostima, non va dimenticato, valgono singolarmente – cioè presi uno per uno – ma sono più efficaci se adottati tutti insieme. Infatti, l’auto-accettazione deriva dalla consapevolezza di sè, proprio come il terzo pilastro segue il secondo.
Senso di responsabilità

Quante volte tendiamo a dare la “colpa” di ciò che ci capita nella vita, nelle relazioni o sul lavoro a qualcunaltro o una situazione? Questo accade perché neghiamo costantemente una cruda verità: siamo noi gli unici responsabili delle nostre azioni e della nostra felicità.
Siamo responsabili di come teniamo il nostro corpo, la nostra casa, di come agiamo, parliamo, scriviamo, di come gestiamo il tempo, il denaro, le energie. Credere che l’ambiente esterno o gli altri possano avere responsabilità sulle nostre scelte è una bugia che abbiamo imparato a raccontarci così bene che ormai ci sembra reale.
Vivere con responsabilità significa prendersi con coscienza l’attribuzione di pensieri e azioni che vengono da noi, e da nessun’altro. Si tratta di un pilastro complesso da spiegare e comprendere, ma è assolutamente decisivo nell’innalzamento dell’autostima.
Per avere una corretta percezione di sè stessi, quindi, è necessario accettare il senso di responsabilità individuale, smettendo di cercare altrove quella che chiamiamo abitualmente colpa, ma che non è altro che responsabilità.
Auto-affermazione

Una volta che siamo consapevoli di noi stessi al 100%, ci siamo accettati, e abbiamo compreso le nostre responsabilità, dobbiamo auto-affermarci. Ossia esprimere a parole e gesti quello che pensiamo e sentiamo.
Secondo Branden e chi dopo di lui ha fatto ricerche e studi sull’argomento, dare voce alle proprie convinzioni, valori e sentimenti, nei modi e contesti appropriati, è cosa buona e giusta per l’autostima.
Ogni individuo ha il diritto di potersi mostrare per ciò che è, difendendo con convinzione quello in cui crede. Questo pilastro è una diretta conseguenza dei precedenti, e senza di esso l’autostima rimane bloccata a metà. Possiamo quindi sì essere consapevoli, pienamente responsabili e accettarci, ma se non ci affermiamo nel mondo in quanto tali, tutto il lavoro fatto su sè stessi rimane vano.
L’auto-affermazione, così come l’accettazione di sè, desta spesso dei dubbi perché tendiamo a sentirci in difetto quando siamo sicuri di noi. Di nuovo, questo accade a causa di convinzioni dettate dal tipo di società in cui viviamo e, se siamo credenti, dalla religione alla quale ci rifacciamo.
Darsi degli obiettivi

La strada verso un’alta autostima passa per la conoscenza di sè e l’identificazione degli obiettivi, macro e micro. Le domande da porsi in questa fase di lavoro su di sè sono: che cosa desidero per me? Che tipo di esistenza voglio vivere? Dove voglio arrivare? Che persona voglio diventare?
Branden nel suo manuale di successo afferma che è necessario darsi degli scopi, a breve e lungo termine, perché se privi di motivazione, gli esseri umani si perdono nel caos dell’esistenza e non mettono a frutto i propri talenti.
Dobbiamo dunque muoverci con pazienza e strategia: per raggiungere il successo, personale, professionale, qualuque cosa per ciascuno di noi voglia dire, dobbiamo mettere in atto un piano d’azione preciso, che si modifica nel tempo, ma che rimane focalizzato su quelli che sono i nostri – e solo nostri – obiettivi.
Non solo, è altrettanto importante tenere traccia dei progressi degli obiettivi, perché sensa analisi il rischio è quello di mantenere l’attenzione sugli elementi sbagliati. Continuare a monitorarli, invece, ci consente di comprendere l’evoluzione del nostro percorso, spesso influenzata da elementi esterni (il COVID-19 è un esempio lampante di come gli obiettivi di tutti noi possono essere cambiati senza che ce lo aspettassimo e senza che nessuno di noi potesse farci nulla).
Integrità personale

Dal dizionario, l’integrità è spiegata così: “La presenza e la consistenza della sostanza costitutiva di un oggetto o di un individuo (o di parte di esso) nella sua totalità e interezza (sia quantitativa che qualitativa)”.
Nel coaching e nella psicologia, con integrità personale viene indicata la capacità dell’individuo di fare dei propri valori e visione del mondo un riflesso della propria vita. Ossia, la persona che si auto-stima è in grado di rimanere fedele alla propria consapevolezza, auto-accettazione e affermazione, senso di responsabilità e obiettivi a 360 gradi nella vita.
Essere integri, in altre parole, significa mostrare un’ineccepibile onestà nei confronti di sè stessi, prima di tutto.
Anche quest’ultimo pilatro è considerato tra i capitoli più complessi del libro di Branden. Dopotutto, integrità è un vocabolo comunemente utilizzato nel nostro linguaggio per definire un’interezza fisica di un oggetto o entità. Ma quel tipo di integrità non va confusa con quella morale che invece rappresenta il rispetto per sè stessi, i propri valori, le emozioni, le paure, i limiti e i confini della nostra personalità – fatta da traumi, esperienze ed un vissuto unico e irripetibile.
In fondo al libro I 6 pilastri dell’autostima sono raccolti tutti gli esercizi spiegati nei vari capitoli. L’autore consiglia a ogni lettore di leggere il testo e fare gli esercizi consigliati – prima testati da lui stesso – passo dopo passo. E infine rifarli tutti insieme, in modo da ripercorrere tutte le tappe del viaggio nell’autostima e cristallizzarle dentro di sè.
Ogni essere umano ha il diritto di essere felice, e può riuscirci solo attraverso una corretta percezione di sè.